Wang Meng: il potere delle parole

Non sempre si ha il coraggio (o la possibilità) di dire quello che si pensa. Parlare nel 2019 di libertà di espressione sembra, specie per noi italiani, ormai cosa scontata. Eppure si registrano ancora numerosi casi di censura.
La censura, questo falotico strumento di ‘imbavagliamento’ che ha viaggiato nel corso della storia assumendo svariate e grottesche forme fino ad arrivare ai giorni nostri in vesti molto più forbite, ma sempre con un unico obiettivo: danneggiare la libertà.

Questo accade perché le parole (urlate, sussurrate, scritte e nascoste) hanno un potere sbalorditivo e chi ne sa fare buon uso forse non sarà il padrone del mondo, ma sicuramente nessun padrone riuscirà a dominarlo.
Proprio perché la parola rappresenta uno strumento vitale per l’esistenza degli esseri umani, dovremmo essere in grado di rispettarlo e di usarlo nel migliore dei modi.
Purtroppo questo non sempre accade e ci si ritrova spesso a essere travolti da idiozie più o meno gravi, d’altronde ogni libertà ha il suo piccolo difetto.

Wang Meng: lo scrittore cinese dal destino rocambolesco

Sulla scia delle espressioni dette, sbagliate e negate, oggi voleremo fino in Cina (una nazione che forse più delle altre ha risentito delle conseguenze della libertà di esprimersi e della sua negazione) per parlare di un uomo che con il solo potere delle parole è stato in grado di contrastare la macchina malata del potere.
Lui si chiama Wang Meng, è nato a Pechino il 15 ottobre del 1934, è stato e rimane uno dei più importanti scrittori cinesi contemporanei.
Wang inizia a interessarsi alla letteratura già da bambino grazie alla zia che lo sprona a imprimere su carta i propri pensieri.
Ma il destino rocambolesco di un bambino tranquillo che voleva diventare scrittore inizia ben presto a sconvolgergli la vita. A quattordici anni si accosta al movimento clandestino coordinato dal Partito Comunista Cinese per liberare il paese dal governo nazionalista di Jiang Jieshi (1887 – 1975). A sedici anni entra ufficialmente nel PCC e lavora per la Lega della gioventù come vicesegretario dal 1950 al 1956.

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Wang Meng

È nel 1952 che Wang decide di dedicare tutta la sua vita alla letteratura e di utilizzare la suddetta per dare voce alla sua coscienza civile e per smuovere quella della gente sullo stato delle cose non proprio favorevole a tutti i cittadini. Ciò porta molte tensione tra lo scrittore e il potere che proprio in quel periodo non vedeva di buon occhio gli intellettuali e gli artisti. Nel 1942 il presidente Mao, infatti, era stato chiaro: intellettuali e artisti dovevano mettere la loro arte esclusivamente a disposizione del popolo e della rivoluzione, sopprimendone di fatto la libertà di espressione.
La decisione diede origine a una ricca produzione di opere che sottolineavano il grande coraggio delle masse popolari impegnate a combattere il grande nemico: il controrivoluzionario.

La Campagna dei Cento Fiori

Dura vita per gli intellettuali e per il nostro Wang Meng che si trova costretto a vedere rifiutati o censurati molti dei suoi scritti.
È il caso della sua prima opera ‘Qingchun wansui’ (Viva la giovinezza) consegnato all’Associazione degli scrittori cinesi nel 1954 e rimasto in attesa di modifiche fino al 1956.
Oppure è il caso di ‘Xiao dour’ (il fagiolino), racconto per l’infanzia pubblicato sulla rivista Renmin wenxue (Letteratura del popolo) ma con un terzo del contenuto tagliato.

E come se non bastasse, la situazione poteva solo che peggiorare. Nel maggio del 1956 Mao Zedong (1983 – 1976) dà il via alla Campagna dei Cento Fiori, cioè la stagione di liberalizzazione della vita culturale, politica, economica e sociale. Il termine deriva da una frase pronunciata dallo stesso Zedong: “Che cento fiori fioriscano, che cento scuole di pensiero gareggino”. L’inizio della campagna coincideva con la destalinizzazione che Nikita Sergeevič Chruščёv (1894 – 1971) stava effettuando in URSS.
Per molti l’intento di Zedong era quello di chiamare tutti i cinesi a partecipare allo sviluppo economico, per altri, invece, tutto era stato studiato scrupolosamente a tavolino dal dittatore per prendere le distanze dal comunismo sovietico.

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Intellettuali, studenti e uomini politici si trovano ad esprimere il loro punto di vista sui cambiamenti che la Cina aveva compiuto e sulle possibili soluzioni da prendere.
Ben presto, però, la situazione sfuggì di mano e molte furono le voci contro il governo che si tradussero in proteste e malcontenti.
Così, nel 1957, Mao decise di porre fine alla Campagna dei Cento Fiori e si sbrigò ad iniziarne una contro la destra controrivoluzionaria. Il risultato? Gli intellettuali furono additati come degli agitatori ciarlatani da punire immediatamente.

La riabilitazione politica di Wang Meng

Il nostro Wang Meng, considerato un autore reazionario per colpa dei suoi scritti, va in ‘rieducazione’ con le masse contadine nei campi di lavoro a Xinjiang. Gli sarà concesso di ritornare a Pechino nel 1962, quando dilaga una nuova apertura nei confronti degli intellettuali. Ma alla fine del 1963 lo stesso autore chiederà di poter ritornare a Xinjiang con la sua famiglia per rimanere a stretto contatto con la popolazione uigura, apprenderne l’idioma e in breve tempo ricoprire il ruolo di interprete tra gli uiguri e i funzionari cinesi. Riesce anche a tradurre in cinese alcune opere locali.

Quella di rimanere fu una scelta che si rivelò molto saggia visto che gli permise di fuggire all’ennesima follia di Zedong: la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976) che rovinò milioni di cinesi.
Nel 1979 è completamente riabilitato politicamente, si trova a Pechino, riprende i legami con il Partito Comunista e torna all’attività letteraria. Ottiene anche degli incarichi molto importanti:

– Membro supplente del Comitato Centrale del PCC (1982)
– Vicepresidente dell’associazione degli scrittori cinesi (1985)
– Ministro della cultura (dal 1986 al 1989)

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Il ritiro dalla scena pubblica

Successivamente Wang decide di ritirarsi dalla scena pubblica, respingendo ogni proposta di incarico ufficiale per evitare di essere coinvolto nuovamente in questioni politiche del paese. Una scelta che coincide con un evento molto importante, cioè la promulgazione della legge marziale del 1989 da parte del premier Li Peng (1928 – 2019), legge che, come è tristemente noto, servì a mettere la parola fine a quello che tutti conosciamo come l’incidente di Piazza Tienanmen.

Nonostante il ritiro, però, l’autore non riesce ad ottenere la pace sperata. La sua pubblicazione ‘Dura, la pappa di riso!’ (1989) si rivelò ben presto una brutta gatta da pelare.
Wang venne, infatti, accusato di voler screditare e ridicolizzare la dirigenza dei vertici cinesi, specie Deng Xiaoping (1904 – 1997) e la politica di apertura verso l’Occidente.

Quando l’ironia svela la verità

Ma perché i testi di Wang (e in particolare Dura la pappa di riso!) hanno creato molti problemi all’autore?
Una volta riabilitato politicamente e, quindi, libero di rientrare a Pechino, lo scrittore ritorna ad avere contatti con il potere, ma anche con la burocrazia e con le abitudini quotidiane del popolo cinese. Dopo le vicissitudini che il suo paese ha vissuto vede ora con occhio molto critico tutto quello che gli sta attorno e decide di raccontarlo con un’arma molto pungente: l’ironia. Un’arma in grado di divertire ma, allo stesso tempo, di denunciare tutto quello che di sbagliato colpisce la popolazione. Ed è proprio per questo che al centro dei suoi scritti si trova il potere che manipola le menti e che offre false prospettive di libertà.

Wang Meng ha sicuramente fatto della scrittura e delle parole gli strumenti per resistere e insistere, per trovare il suo ruolo nella società e avere il coraggio di ribellarsi alle costrizioni e ai soprusi.
Per capire meglio la sua ‘ironia critica’, nel prossimo articolo analizzeremo Dura la pappa di riso!, un libro che è stato in grado di screditare la facciata (solo in apparenza perfetta) del potere cinese.

Ulteriori riflessioni

La Cina è sicuramente una delle nazioni più curiose e affascinanti di sempre, la sua cultura e le sue tradizioni possono piacere o meno (io apprezzo molto!), ma è anche vero che spesso è stata al centro di molte discussioni riguardanti la libertà. State tranquilli non vi annoierò con grandi discorsi politici o storici, quello che è successo nel passato lo sappiamo un po’ tutti e sopra abbiamo anche rispolverato qualche episodio.
Voglio, invece, riportare qui due eventi recenti che hanno occupato intere pagine di giornale:

1- Novembre 2018. Dolce e Gabbana chiedono scusa pubblicamente alla Cina per aver offeso la cultura cinese.
I due stilisti sono accusati di razzismo e sessismo dopo la diffusione di alcuni spot per pubblicizzare un loro evento a Shanghai. Ma cosa hanno inserito di così scandaloso in queste pubblicità? Una ragazza cinese che cerca di mangiare una pizza e un cannolo usando le bacchette.
I cinesi non la prendono bene e gli affari dei famosi D&G crollano spaventosamente.

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video scuse di D&G

2- Novembre 2019. La diciassettenne Feroza Aziz, durante un tutorial di make-up su TikTok, denuncia le violenze subite dagli uiguri, la minoranza musulmana che vive nella regione dello Xinjiang. Il risultato? Il video viene immediatamente rimosso dal social cinese.
Il capo della sicurezza di TikTok USA Eric Han, ha immediatamente sottolineato che la rimozione del video è frutto di un piccolo errore ed è stato ripubblicato subito dopo le proteste degli utenti. Coincidenze?

Tutto questo ci fa capire che il tema della libertà di espressione è molto delicato e, badate bene, non solo in Cina! Anche se in forme diverse, la censura è una piaga che dilaga ovunque.
E voi cosa ne pensate? Lasciate un commento se vi va, siete assolutamente liberi di esprimere il vostro parere!

Marilisa Pendino 

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