Antonin Artaud: il teatro, la parola, la follia

LaMôme oggi propone un singolare viaggio alla scoperta di Antonin Artaud, papà del Teatro della Crudeltà e non solo…

“Le idee che ho le invento soffrendole io stesso, passo passo, io scrivo soltanto ciò che ho sofferto punto per punto in tutto il mio corpo, quello che ho scritto l’ho sempre trovato attraverso tormenti dell’anima e del corpo.”

[Dalla lettera a Jean Paulhan]

Chi è di scena…

È Antonin Artaud, attore, drammaturgo, regista e saggista, nato a Marsiglia il 4 settembre del 1896 e morto, probabilmente per una dose eccessiva di cloralio, a Ivry-sur-Seine il 4 marzo del 1948.
Tutti, però, lo conoscono come il papà del Teatro della Crudeltà; il genio pazzo che dietro le sbarre di un manicomio denunciava la perversa demenza della società.
Ma partiamo dall’inizio…

I primissimi anni di Antonin (nome completo Antoine Marie Joseph Artaud) trascorrono abbastanza tranquilli. Nasce in una famiglia borghese composta da un papà-capitano di nome Antoine Roi e da Euphrasie Nalpas, madre turca originaria di Smirne.

A soli 4 anni, però, una terribile meningite lo aggredisce nella mente e nel corpo, rendendolo schiavo eterno di depressione e nevralgie.
Grazie (si fa per dire) a questi spiacevoli disturbi, Artaud diventa, suo malgrado, un assiduo frequentatore di centri ospedalieri. È in questi luoghi che conosce, seppur solo su carta, Edgar Allan Poe, Charles Pierre Baudelaire e Jean Nicolas Arthur Rimbaud. Ma non solo, attraverso i dottori fa la conoscenza della tintura di oppio, precipitando per sempre nella dipendenza.

Antonin Artaud e l’incontro con il teatro e il cinema

L’incontro con la nobile arte avviene a Parigi nel 1920 grazie al regista Aurélien Marie Lugné (meglio conosciuto come Lugné-Poe) che lo assume come attore nella sua compagnia. Successivamente è sulle tavole del Théâtre de l’Atelier, fondato dal regista Charles Dullin, che il Nostro dà sfoggio delle sue doti recitative.
Ciononostante, un ruolo principale tarda ad arrivare e nel 1923 Antonin decide di provarsi nella scrittura, ma la sua prima raccolta viene rifiutata dal critico letterario Jacques Rivière.

Solo qualche anno dopo, le sue sceneggiature e poesie sono notate e pubblicate su La Révolution surréaliste, l’organo del gruppo surrealista. L’idillio con il movimento, però, dura poco visto il totale rifiuto di Artaud di aderire al partito comunista.

Grazie al cugino Louis Nalpas (direttore artistico della Société des Cinéromans) sperimenta l’esperienza del cinema. Ottiene una prima parte in Surcouf, le roi des corsaire di Luitz-Morat e recita anche in Napoleone di Abel Gance e ne La Passione di Giovanna D’Arco di Carl Theodor Dreyer.

Artaud
Artaud in La Passione di Giovanna D’Arco

Se il cinema gli conferisce un discreto successo, il teatro non fa altro che amareggiarlo proponendogli solo ruoli minori e una visione teatrale che mal si addice alla sua. Attacca l’incompetenza e la corruzione delle istituzioni teatrali francesi e decide, quindi, di fondare nel 1926 Il Théâtre Alfred Jarry insieme al commediografo Roger Vitrac e allo scrittore Robert Aron.
Un’esperienza esaltante ma di breve durata. Nel 1930, infatti, i tre sono costretti a chiudere i battenti a causa di una piaga che prepotentemente si presenta anche oggi: la mancanza di fondi.

Leggi anche: Herculine Barbin: confessioni di un ermafrodito

Artaud: il teatro balinese all’origine di tutto

Nel 1931, durante uno spettacolo di teatro balinese, Artaud rimane profondamente colpito. Per la prima volta trova la forma teatrale che più si avvicina alla sua idea di arte: Il teatro deve basarsi su un linguaggio specifico che nulla ha a che fare con il testo o con la parola, bensì con la fisicità dell’interprete. Con il movimento del corpo e la costruzione dello spazio che lo accoglie, Artaud getta le basi del suo Teatro della Crudeltà.

Antonin Artaud

Antonin Artaud e il Teatro della Crudeltà

In un manifesto pubblicato nel 1932 sulla rivista letteraria Nouvelle Revue Française (il vecchio direttore Rivière nel frattempo è morto e sostituito con Paulhan) Artaud spiega che il teatro nella sua forma occidentale piegata alle costrizioni di testo e parola deve essere rinnegato. Il Teatro della Crudeltà (dove crudeltà si riferisce al sacrificio di tutti gli elementi inutili alla rappresentazione) riunisce in un unico linguaggio universale gesto, parola, corpo. È il teatro dello stimolo e dell’azione. Gli spettatori non sono più soggetti passivi incatenati all’estetica dello spettacolo, ma vengono scossi, portati alla reazione, costretti a sentire davvero. Ed è anche il teatro della rivelazione che porta alla luce tutto quello che di nascosto c’è nell’inconscio dell’essere umano, dell’arte.
Il credo teatrale di Artaud, però, è troppo diretto, troppo complicato da capire in un primo momento e il suo debutto, I Cenci, è un clamoroso insuccesso.

Nel 1938 l’artista mette le sue teorie teatrali per iscritto nella raccolta di saggi Il Teatro e il suo Doppio. L’opera influenzò (e continua a influenzare) il mondo del cinema e del teatro.
Grazie al Teatro della Crudeltà, infatti, nascono numerosi artisti come Living Theatre, Grotowski, Peter Brook e l’italiana Emma Dante.

Leggi anche: Vita o-skenè: intervista a Filomena ‘Filo’ Sottile

Il viaggio verso la fine di Artaud

Nel 1936 Artaud effettua diversi viaggi in Messico e Irlanda. Si avvicina alle varie culture e tradizioni che lo affascinano. Fa anche un uso smoderato di droghe e di ritorno dall’Irlanda viene arrestato e condotto in numerose cliniche francesi e sottoposto a elettroshock per nove anni.
In clinica, forse anche solo per evadere con la testa, sperimenta nuovamente il linguaggio e le sue molteplici forme. Scrive e disegna tanto, cerca di evocare il suono e la forza della parola attraverso le immagini.

Nel 1947 viene pubblicato il famoso saggio Van Gogh il suicidato della società. Nel libro Artaud denuncia aspramente il sistema psichiatrico che mortifica, anestetizza e distrugge i folli, specie se questi sono dei veri geni. Ma è anche una critica alla società malata, disonesta che insidia le menti con il seme della demenza.

Vittima della pazzia; della società distorta; del retrivo sistema psichiatrico; della sua precoce genialità visionaria; dell’arte che lo abbraccia e lo rifiuta, che lo dimentica e lo invoca, l’Artaud che per tutta la vita ha inseguito l’esaltazione del linguaggio artistico universale e che ha urlato la crudele follia del mondo, termia la sua esistenza da solo, seduto a guardare il suo letto con una scarpa in mano.

Marilisa Pendino

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *